venerdì 7 novembre 2014

quest'uomo un vero MITO!

Bologna, l’abbonato dei record:
«Io, nei Distinti dal 1936»

L’ingegner Tassoni: «Ho perso solo tre match»

Giuseppe Tassoni, classe 1929Giuseppe Tassoni, classe 1929
BOLOGNA - «Il prato è sempre stato bellissimo, verde, perfetto, come oggi. Le squadre invece… Ma io sono stato fortunato: cresciuto sotto la Torre di Maratona, abituato a vincere quasi sempre, sono stato un bambino viziato». Parole d’amore. Rosse e blu. Una storia infinita che parte da lontano e che non si è ancora fermata. È quella di Giuseppe Tassoni, ingegnere classe 1929, abbonato fin dal 1936. Tifoso dalle mille partite. Sempre nei Distinti: «Settore D Fila 10 posto 44», recita lui. Anche quest’anno l’ho sottoscritta verso le 8.30 il primo giorni di campagna, come sempre».
DA BAMBINO AL LITTORIALE - Cresciuto con i miti dell’anteguerra, è oggi costretto a parlare del Carpi. Ma va bene così: il Bologna è gioia, è vita, è passione. È qualcosa che non si può tradire né abbandonare. «Bisogna esserci, bisogna abbonarsi e arrivare almeno a 20 mila, come le grandi squadre». Sembra uno spot per Tacopina, ma è un pensiero sincero. I racconti di Tassoni partono da Strada Maggiore 6, in una grande casa che quasi tocca la Torre Asinelli, dove l’ingegnere è nato senza mai spostarsi. «La comprò mio nonno nel 1913». E da lì, salendo sul tram, il papà iniziò a portarlo al Littoriale per vedere “il Bologna che tremare il mondo fa”, quando ancora c’era la statua equestre del Duce.
IL RICORDO DI SCHIAVIO IN CAMPO - «Avrò avuto sei o sette anni, erano gli ultimissimi anni di Schiavio. Mi ricordo questo signore con le gambe fasciate che correva e che poi rivedevo in Clavature. Non rammento i suoi gol, ma le formazioni tutte, certo». L’idolo però era un altro. «Biavati, un’ala che averne oggi. Ricordo bene i gol di Puricelli, molto simili fra loro: Biavati correva sulla corsia di destra, non si limitava però ad andare sul fondo, ma rientrava a sinistra per fare il cross corto che Puricelli metteva sempre dentro, e se veniva lungo c’era poi Reguzzoni ad aspettare». Foto in bianco e nero, bellissima. «Allo stadio poca gente. C’erano due biglietti: tribuna e tutto il resto, così la gente stava al centro e le curve erano quasi vuote».
QUASI 80 ABBONAMENTI - Tassoni mostra le tessere, una montagna. «Prima le ritiravano e solo negli anni ’50 ce le hanno lasciate». Tutte forate. «Ho perso solo tre partite casalinghe: col Palermo per la febbre, con l’Atalanta perché ero in Africa e poi nel 2013 col Verona, malato». In 75 campionati eh. Mentre nel ’64 feci anche tutte le trasferte tranne a Bari, Palermo e a Genova con la Samp, dove perdemmo in notturna». Poi un biglietto. «Quello dello spareggio a Roma con l’Inter, ma quello bello è quello del treno dove si legge “treno speciale rossoblù Bologna Roma e viceversa”, comprato alla Cit Salvatori in Piazza Re Enzo”». Tassoni ha anche due (2) tessere di Futuro Rossoblù: «una come ingegnere e una come tifoso». Va mo’ là.
CINQUE SCUDETTI SU SETTE - Tutto il Bologna minuto per minuto. Cinque gli scudetti vinti, dal ’36 al ’64, tutti quelli di Dall’Ara. «Un tempo si festeggiava in modo sobrio, ricordo poco i primi due, benissimo gli altri tre». Pioggia, vento, sole, neve, l’ingegnere è sempre lì. Dal Littoriale al Comunale e infine il Dall’Ara. «La maglia sempre quella: rossoblù e poi verde, quando c’era il Genoa o il Milan. Il rosso era vivo e acceso, mica scuro. Poi è arrivata la maglia bianca». Un mondo senza numeri sulle spalle: arrivarono nel ’39. «Infatti quando vedevo le foto dei club inglesi pensavo “Cosa sono quei numeri lì?”. Noi i nostri li riconoscevamo anche senza: erano sempre gli stessi undici». E sciorina la formazione: «Ferrari, Fiorini, Pagotto, Montesanto…». Pochi ricordi dell’Universale, molti della Coppa Europa «con le squadre dell’Est».
IL DOPOGUERRA – Poi, dopo la pausa bellica, «le grandi iniziano a spendere, Dall’Ara rimane indietro e viene contestato. Era un dittatore buono che parlava strano: “il miglior acquisto è non vendere” era il suo motto, ma i tifosi non erano felici. Capiva di calcio così così, ma aveva fidati consiglieri come Sansone, Viani (mi piaceva il giusto), Schiavio. Erano anni che se arrivavi 5° ci rimanevi male». Pensa te. Grandi discussioni al bar Otello, punto di riferimento della tifoseria già negli anni ’30. «Da via Orefici partivano e arrivavano i pullman per le trasferte e lì la sera si andava per farsi raccontare la partita. Perché la radio faceva quello che faceva e la tv ancora non c’era». Le foto sul Calcio Illustrato, sul Carlino e su Stadio «che andavamo a comprare la notte in stazione»
GIOCATORI, ALLENATORI, PRESIDENTI - Tassoni ricorda tutto: le prime trasferte del ’46 a Modena e Firenze, la salvezza del ’52 alla penultima a Milano con l’Inter per 2-2 «abbiamo rischiato almeno tre o quatro volte in quegli anni», Gino Cappello, «discontinuo, con dei giocatori tristi attorno, ma quando partiva era eccezionale, aveva dei 15’ incredibili…», le amate ali, «Biavati, Cervellati, Perani, Nervo: servirebbero a Cacia», la gente a bordo campo per un Bologna-Milan con 50 mila spettatori, «cosa successe? Niente: vinse il Milan e tornammo a casa», la sudditanza degli arbitri, «con la Juve c’era già negli anni ‘50», le bussate di Ballacci, «era un soggetto che quando entrava entrava, eh. E comunque anche Janich picchiava duro», Pavinato che lotta con Hamrin, «non mollava mai l’avversario», le geometrie di Fogli, «quello che mi piaceva più di tutti», le invenzioni di Haller e poi Bulgarelli, «uomo squadra, uno che fin da piccolo si vedeva che aveva dei piedi buoni, come Mancini», Savoldi che stacca di testa «ma amava un po’ troppo i soldi», e ancora Signori, «piaciuto molto», Baggio, «ma solo un anno», e prima ancora Pivatelli, «tirava delle stangate che erano micidiali», e ancora Pascutti «che gol che faceva…! La gente scattava in piedi come una molla». L’affetto con cui parla dei giocatori non è lo stesso riservato agli allenatori o ai presidenti. Tassoni ‘nasce’ con Felsner, «che ricordo bene, ma non Weisz», e poi Sarosi, Bernardini, Carniglia, Fabbri, «una brava persona», Pesaola, Ulivieri, «uno competente, del mestiere, come del resto Guidolin che non è stato un bluff, Pioli alla fine invece non ne azzeccava una». Il motto è chiaro: tutta gente a tempo determinato. Un po’ meno i presidenti. «Bene Dall’Ara, certo, e dopo di lui Gazzoni, giusto farlo presidente onorario, ci ha rimesso tanti soldi, si è comportato da signore. Come del resto Menarini. Guaraldi invece un ambizioso che ha fatto solo dei guai».
GLI AMERICANI DI IERI E DI OGGI - Ora gli americani. «La prima volta li vidi che avevo 16 anni. Era il 21 aprile del ’45, noi eravamo sfollati e poi trasferiti per poco tempo in via Santa dato che casa nostra era occupata da altri sfollati e quella mattina, era presto e io potevo girare liberamente, imboccando via Gerusalemme vidi sfilare dei polacchi col fucile, “mo chi sono?”. Tornai a casa, mi sgridarono, ma dopo poche ore arrivarono in piazza gli americani, e fu festa grande». E oggi? «Loro si sono esposti molto e un bluff non può essere. Mi domando però perché gente con tanti soldi viene qui. Spero che sia tutto vero, ci spero tanto. Fra l’altro a Tacopina volevo fare un discorso…». Calcio? «No: tecnico-edilizio-economico…». Apperò. La storia va avanti, le vicende si accavallano e così i tanti personaggi - giocatori e poi allenatori e presidenti – ma tutto è passeggero tranne una cosa: il club, il Bologna. Quello è sempre lì, nel cuore. «E se a gennaio, viste le difese tristi che ci sono in B, compriamo uno che fa gol, torniamo subito in A». Nel caso, per Tassoni abbonamento omaggio. Nei distinti, ovvio.

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